Cosa cerca la Gen Z nel design? (2024)

Sospesa tra ansia digitale e ambientale, la generazione Z è il nuovo utente di riferimento per l’abitare, esprimendo un bisogno di senso specifico a cui il design dovrà saper dare una risposta

Oggi è la gen Z, formata da chi è nato tra il 1995 e il 2010, a indicare le nuove direzioni per la ricerca di senso nel progetto del quotidiano.

È un fatto che va tenuto molto in considerazione perché disegnare lo scenario d’arredo vuol dire approntare il racconto materiale della realtà quotidiana, la scenografia per l’interazione di corpi e parole, pensieri e oggetti.

La trama semantica così definita è come la radiografia di un’epoca, il profilo dei vuoti e dei pieni che identifica un determinato momento storico.

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Cresciuti in un mondo in cui gli smartphone sono onnipresenti, questi ragazzi sono stati i primi ad assorbire l’urto del digitale, le cui conseguenze sono testimoniate dal numero crescente di studi e ricerche che mostrano come la gen Z presenti una ‘tenuta’ psicologica inferiore rispetto alle generazioni precedenti, dovuta a una particolare forma d’ansia – l’ansia digitale – ampiamente diffusa non solo tra gli adolescenti ma, in modo preoccupante, anche tra i bambini.

Perché se è vero che i dispositivi digitali hanno moltiplicato le possibilità di connessione da remoto, è altrettanto vero che la loro pervasività ha risucchiato gli utenti tutti, e i più giovani in particolare, in un vortice sociale distorto, che ne ha inibito il normale sviluppo psicologico.

L’ambiente creato dai social media non può infatti essere definito genuinamente sociale, esso è piuttosto la riproduzione in forma espansa di una dimensione individuale. Questo perché i contenuti filtrati in base ai dati raccolti sul singolo utente creano una ‘bolla’ attorno a lui che non mette mai in discussione le sue idee (come avviene invece nelle reali interazioni sociali), anzi le conferma e le rinforza reiteratamente, portando a una involuzione o, peggio (soprattutto quando l’esposizione ai social avviene in età precoce), a un mancato sviluppo delle capacità relazionali e del pensiero critico.

Ciascuno rinchiuso nella propria comfort zone finemente customizzata, gli utenti della Gen Z soffrono di una scarsa esposizione a visioni diverse dalla loro e al corroborante ‘attrito’ generato dall’incontro con l’altro da cui si cerca anzi di stare a distanza, preferendo una relazione ‘da remoto’.

Succede così che la fragilità tipica del passaggio dall’infanzia all’età adulta – snodo delicato nell’evoluzione della persona, che si trova ad abbandonare un’identità per adottarne un’altra – non rimane transitoria ma si stabilizza, preservata e nutrita dalla bolla.

Ci sono però anche aspetti positivi nella socialità ‘aumentata’ delaGen Z. Avendo largo accesso a notizie, documentari e risorse online, i ragazzi Z hanno sviluppato una forte sensibilità al tema della sostenibilità – non da ultimo, perché si tratta dell’unico orizzonte condiviso a cui possono guardare sul piano globale, su cui sono da sempre immessi.

Ansia digitale e ansia ambientale sono dunque i grandi ‘attrattori’ che muovono la ricerca di senso delle giovani generazioni, e che consentono di identificare i contenuti di valore che il design deve saper incorporare nel progetto della realtà materiale, destinata a loro attraverso soluzioni che sappiano unire la scelta di materiali e processi sostenibili all’espressione delle inquietudini transfigurative del mondo nuovo, come nel caso del trono in materiale riciclato Savage di Jay Sae Jung Oh, o anche, all’opposto, del sofà dall’aspetto anti-ansiogeno in gommapiuma riciclata Clouds di IAMMI.

Nonostante le differenze, infatti, questi due progetti sono accomunati da un senso di rappacificazione che non punta a risolvere ma a ‘sanare’ alcune delle tante, infinite fratture che caratterizzano la fattura ibrida della realtà contemporanea.

Stemperare la frenesia del digitale con la calma della materia, ricucendo omeopaticamente la lacerazione tra mondo delle cose e mondo delle immagini, è quanto si vede nel mobile a scaffale Unlimited Edition di Andrés Reisinger per Tylko o nella collezione di ‘design divergente’ Primitives di OZRUH, oggetti in cui la sostanza visiva pare aver assorbito la consistenza eterea delle nuvole di dati; e così pure nel tavolo Kipferl di Bohinc Studio, o ancora negli oggetti realizzati per Made in Situ da Noé Duchaufour-Lawrance: presenze sane, nobilmente solide, che forniscono un’ancora emotiva a utenti strattonati dall’invadente fuggevolezza di mondi virtuali e del marketing compulsivo.

Questo design dal segno morbido e dalla pelle soffusa prende dunque forma in risposta al bisogno di alleggerimento di una generazione - come la Gen Z - sovraccarica di evanescenza digitale, che si sente in risonanza con oggetti ‘ansia-assorbenti’ o ‘ansia-riducenti’ come il discreto Brut di Philippe Malouin per Origin Made o, su scala più ampia, come il sistema di sedute Dorothea di Andrea Steidl per LaCividina, presenze oggettuali che, lungi dall’incrementare la produzione di dopamina (come fa il design volutamente eccessivo, massimalista, provocatorio), cercano piuttosto di ridurla, in alcuni casi anche attraverso richiami figurativi come quelli delle lampade Earth di Marie Michielssen per Serax o del pannello fonoassorbente Sahara di Gabriel Tan per Abstracta.

Perché a definire il carattere di questa nuova generazione di oggetti non è la presenza o meno di un tratto grafico, né il rifarsi ad archetipi tradizionali o alla ricerca di percorsi di rottura (tutte opzioni ampiamente sperimentate dal design storico e contemporaneo), ma il poetico addolcimento, e garbato alleggerimento, della pressione estetica e sensoriale che grava sull’utente.

Foto di copertina: il rosa etereo e configurabile del mobile a scaffale Unlimited Edition di Andrés Reisinger per Tylko si adatta alle diverse esigenze dell’utente da un punto di vista sia funzionale che artistico.

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